Successo oltre ogni aspettativa della gara per l’assegnazione delle frequenze 5G. I rilanci competitivi degli operatori – allo stato oltre i 5 miliardi – hanno superato le più rosee aspettative. Nei prossimi giorni, quando la gara si concluderà, ci sarà un cospicuo tesoretto da utilizzare nello sviluppo di un settore strategico come quello delle tlc per dare nuovo slancio alla crescita del Paese. Ma occorre fare attenzione a non ripetere gli errori del passato.
L’asta 4G e i tagli del 2011
Facendo un passo indietro, nel settembre del 2011 l’asta per le frequenze LTE si chiuse ugualmente con un ottimo risultato: il governo di centro-destra incassò poco meno di 4 miliardi di euro, superando nettamente i pronostici pre-gara, stimati intorno ai 2,4 miliardi. Su come reinvestire le risorse, però, ci fu un duro scontro. Per una legge del 2010, una quota dei proventi aggiuntivi dell’asta andava destinata al sostegno del Piano banda larga, mirato a ridurre il digital divide sul territorio italiano: tuttavia, l’allora Ministro dell’Economia Giulio Tremonti decise di dirottare l’intero surplus della gara (pari a 1,6 miliardi) sul riacquisto dei titoli del debito pubblico e sul finanziamento del fondo per le esigenze indifferibili.
L’obiettivo del governo Berlusconi era quello di far fronte alla difficile situazione finanziaria in cui versava il Paese (a novembre lo spread Btp-Bund toccò il valore record di 574 punti base, mentre il deficit raggiunse il 4%) e scongiurare, quindi, la caduta dell’esecutivo di centro-destra. Il tentativo fu vano: di lì a poco Mario Monti avrebbe sostituito il leader del PdL alla guida di un governo tecnico, mentre l’economia italiana avrebbe continuato a patire gli effetti del protrarsi della crisi.
Il Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani manifestò il proprio disappunto, evidenziando come gli investimenti in innovazione fossero d’importanza strategica per la crescita del Paese. Ma l’appello rimase inascoltato e il provvedimento fu confermato nel testo della legge di bilancio del 2012.
L’Italia fanalino di coda sul digitale nel panorama europeo
A distanza di 6 anni dall’approvazione di quella legge finanziaria, le conseguenze della scelta di sottrarre risorse preziose ad un settore strategico per la crescita del Paese come quello delle telecomunicazioni, si fanno sentire. Soprattutto perché il taglio del 2011 arrivò in una fase in cui l’attenzione verso lo sviluppo e l’impiego delle tecnologie digitali era in forte crescita in tutta Europa. In quel contesto, caratterizzato dall’incertezza sulle prospettive di crescita, l’investimento in un settore in grado di agire da volano all’innovazione e alla modernizzazione avrebbe mandato un segnale positivo sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali. In particolare, avrebbe messo in risalto le capacità di programmare e rilanciare verso il futuro la visione politica italiana.
Questo non avvenne e, ancora oggi, l’Italia sconta una scarsa competitività digitale. I dati emersi da alcuni studi recenti in questo senso parlano chiaro: secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) dell’UE, che stila una classifica sulla competitività digitale dei paesi membri in base a 6 parametri, nel 2018 l’Italia si attesta al quartultimo posto, seguita soltanto da Bulgaria, Grecia e Romania.
I dati disponibili indicano inoltre come il gap digitale sia evidente anche e soprattutto a livello nazionale tra Nord e Sud del Paese, e riguardi tutti i settori: da quello industriale, passando per la pubblica amministrazione (anche se è giusto ricordare i significativi sforzi che sono stati portati avanti negli ultimi anni in questo campo) fino alle PMI e all’istruzione.
La grande opportunità dell’asta per il 5G
Oggi il Governo Conte mostra attenzione nei confronti della trasformazione digitale del paese. L’enfasi posta sul Piano Nazionale Impresa 4.0 e gli incentivi a favore delle PMI rappresentano indubbiamente segnali positivi puntati verso la chiusura della forbice digitale. E dunque, i risultati importanti dell’asta per l’assegnazione delle frequenze 5G non andranno sprecati. Nel corso delle ultime settimane tra i tecnici del governo sono iniziate le riflessioni sul possibile impiego del surplus di oltre 2 miliardi di euro (cifra ancora in crescita) a disposizione del MiSE. Se nel 2011 la scelta di dirottare risorse lontano dal settore delle telco fu giustificata dalla situazione emergenziale delle finanze pubbliche, oggi il contesto macroeconomico globale è mutato e le finanze italiane sono in una situazione critica ma non di emergenza. Per questa ragione, l’auspicio è che i proventi aggiuntivi della gara per il 5G vengano convogliati verso azioni strategiche come il potenziamento delle infrastrutture per la banda ultra larga ed una diffusione capillare del digitale su scala nazionale. Solo in questo modo il sistema Paese riuscirà a rimanere agganciato al treno del progresso tecnologico.