sabato, 25 Marzo 2023

Arrivano i lavori del futuro. Cosa sta facendo l’Italia per il reskilling?

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Da dove passa il futuro di una società? Dal tasso di disoccupazione? Dal reddito medio disponibile? O magari dal grado di interazione tra cittadini e istituzioni? Dati utili, ma la vera chiave di lettura del futuro si chiama reskilling.

Siamo ad un passaggio storico cruciale, dove la tecnologia è ormai in grado di sostituire l’uomo in numerose mansioni specifiche e complesse: dall’analisi dei dati alla costruzione di veicoli, fino all’individuazione dei tumori in campo medico.Ma questi cambiamenti da soli non sono sufficienti a creare un nuovo modello, integrato con il corso digitale globale. La costante evoluzione comporta, infatti, anche una certa difficoltà nell’adeguare i collaudati modelli di lavoro a standard sempre più competitivi e che presumono un continuo rinnovamento.

Bisogna dunque preparare cittadini e lavoratori ad un processo già in atto. Un principio valido soprattutto in un Paese come il nostro, dove le PMI costituiscono più del 90% del totale e dove da anni è ormai in atto un processo di denatalità considerevole. Insomma, viviamo già in un presente in cui, per rimanere competitivi, sono richiesti un grado di preparazione e skill digitali non solo alle nuove generazioni, ma anche al personale già attivo in ogni settore dell’economia.

Ma l’Italia cosa sta facendo per prepararsi ad un futuro che è già presente? Ad oggi, Il DESI (Digital Economy and Society Index) ci relega al 25esimo posto tra le nazioni europee per quanto riguarda l’integrazione tra società e digitale. Le uniche a fare peggio sono Bulgaria, Grecia e Romania. Un dato che la dice lunga sui progressi che il nostro Paese deve svolgere riguardo il tema fondamentale del rapporto tra cittadini e nuove tecnologie. Si può scalare la classifica solo puntando sul “capitale umano”, affrontando presente e futuro senza timore, ma con entusiasmo e programmazione. Su queste basi è naturale che possano presentarsi complessità e sentimenti di rifiuto verso un futuro digitale e robotizzato. Lo conferma lo studio elaborato dal Pew Research Center, che mostra come nei 9 paesi industrializzati messi a confronto, più di 7 persone su 10 ritengono che sarà difficile trovare lavoro in un futuro in cui i robot svolgeranno mansioni ad oggi proprie degli esseri umani.

A pagare le spese nei prossimi anni potrebbero essere così le classi di lavoratori più anziani e poco specializzati. La ricerca del Marsh & McLennan Companies “The twin Threats of aging and automation”, ha stimato la il rischio dell’automazione sui lavoratori più anziani. In Italia la media è al 58%, un dato comunque in linea con quello tedesco (57%), ma inferiore al regno Unito (47%). Se la direzione intrapresa dall’economia globale è dunque chiara e immodificabile, si tratta solo di capire quali sono le precauzioni e le scelte di lungo raggio intraprese da ogni Stato.

Gli attori fondamentali non possono che essere il Governo e le imprese. Il primo deve creare le premesse necessarie per l’azione delle seconde seguendo il modello industria 4.0 e premiando grandi e piccole aziende che investono in R&D e in formazione digitale del personale interno. Un’azione coordinata dalle istituzioni ma che deve essere portata a termine dai soggetti economici. Su questo versante è però necessario compiere dei passi in avanti per portare le aziende italiane ai livelli di quelle europee. Come testimonia il report Istat “Cittadini, imprese e ICT”, nel 2017 solo il 12,9% ha organizzato attività di training in materia informatica, una percentuale che scende al 10,6% per le società fino a 49 dipendenti.

Dati scoraggianti anche se messi a confronto con quelli del resto del continente europeo. Eurostat mostra come i numeri dell’Italia sulla formazione digitale siano lontani non solo dal primato della Norvegia (40%), ma anche dalla media Ue (21%).

Bisogna quindi invertire questa tendenza e ripartire con un progetto di lungo periodo che coinvolga tutta la comunità Paese e investa sulle competenze digitali delle persone. Solo in questo modo l’Italia potrà continuare ad essere competitiva, cercando di trovare una via d’uscita al gap generazionale ormai in atto da alcuni anni.

 

di Jacopo Simonetti

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