sabato, 23 Settembre 2023

“Amaro” Lucano

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Diotima Pagano
Laureata in giurisprudenza. Fortemente convinta che il diritto sia (anche) fantasia, creatività, interpretazione e molto spesso filosofia. Amante della Vespe e della musica in vinile. Il suo motto è "...Things To Come..."

Volendo semplificare al massimo, il diritto penale contemporaneo ha un inespugnabile baluardo nel principio garantistico, vero traguardo della modernità, che si riassume nel brocardo “nullum crimen, nulla poena, sine previa lege scripta”.

In altri termini, un cittadino deve sapere anticipatamente quali sono i comportamenti che il legislatore penale gli vieta.

È un aspetto fondativo del contratto sociale: intanto il cittadino si impegna a rispettare la legge, in quanto il legislatore si impegna a statuirla in termini chiari e conoscibili.

A latere, si può rintracciare uno schema applicativo della sanzione penale che si svolge secondo questo algoritmo: Tesi (accusatoria) – Antitesi (difensiva) – Sintesi (della Corte che emette il giudizio).

In questa icona, si rintraccia una legge inespressa e come tale ancora più vissuta come cogente, secondo cui la Pubblica Accusa, assegnando il tema su cui la Corte giudicherà, è anche il soggetto processuale che definisce i limiti massimi della pena criminale cui il reo potrà andare incontro.

Si tratta di una valsente garanzia, in quanto la difesa dell’imputato calibrerà la sua linea (antitetica al P.M.) relazionandola anche alla pena che si è andata delineando.

Tale modello sembra del tutto in crisi nella vicenda che ha interessato l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano.

Come, infatti, è necessario – e bene la riforma Cartabia lo ha messo in luce – che si sappia previamente per quanto tempo un cittadino possa essere sottoposto ad un processo penale, è parimenti necessario ed espressione di una elevata maturazione del principio di legalità penale, che quello stesso cittadino sia a conoscenza della entità della pena cui possa essere condannato, pur scontando una necessaria discrezionalità del giudice dibattimentale.

Nel caso di specie, per contro, è emerso non solo che la pena complessiva finale sia stata determinata secondo dei parametri, a prima vista, del tutto sproporzionati, ma quella sorta di raddoppio della pena inflitta, rispetto a quanto richiesto dal P.M., concretizza un ulteriore elemento di sconcertato allarme della coscienza civile.

Eppure, un saldo parametro sussiste ed è inscritto nella Costituzione (ex art. 27) e rappresenta un meditato approdo della giurisprudenza costituzionale.

Dopo iniziali oscillazioni, sulla natura e finalità della pena criminale, la Corte ha infatti optato, ed ormai è salda nel ribadirlo, che la funzione preminente della pena, sia quella finalizzata alla rieducazione del reo.

Una scelta che lavora, a sua volta, sul concetto cardine della dignità della persona umana (ex art. 3 Cost., in quanto tale, in disparte dalla sua collocazione sociale, religiosa, di genere) e che tende al recupero della stessa, anche se colpita nell’aspetto sanzionatorio penale (è il circuito concettuale che ha portato di recente a ritenere non conforme alla Costituzione, il c.d. ergastolo “ostativo”).

Avendo, come è necessario, di mira la rieducazione, viene allora da chiedersi come un reo possa partecipare ad un programma di recupero rispetto ad una pena elevatissima che già l’opinione pubblica ha percepito come tale e che, pertanto, può razionalmente considerarsi “inaspettata”, oltre che doppia rispetto a quella richiesta dalla pubblica accusa: un comprensibile ribellismo precluderà qualsivoglia atteggiamento resipiscente.

È quindi addendo interno da galvanizzare, nel principio di legalità penale, quella che inserisce nella previa conoscenza della legge penale anche la ragionevole acquisizione della potenziale entità della pena cui si potrebbe essere sottoposti (unitamente, vale ribadirlo, alla statuita limitazione dei tempi complessivi di sottopozione al processo penale).

Altri settori ordinamentali già si sono proficuamente posto questi problemi.

Nel campo (similare) dell’illecito civile, per la liquidazione dei danni, è costante il richiamo alle tabelle che costituiscono un tentativo di modellistica teso ad uniformare il ristoro dovuto (si richiamano ad esempio le c.d. tabelle milanesi).

Quello, in termini conclusivi, della discrezionalità del giudice penale è ambito di rilievo, certamente da riconoscere, ma da disciplinare (drasticamente) per evitare inaccettabili disuguaglianze.

È una emergenza su cui molto potrebbe un utilizzo accettato e responsabile della Intelligenza Artificiale.

Articolo a cura di Diotima Pagano

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