In principio, la demografia. Secondo diverse proiezioni, la popolazione africana raggiungerà i 2.5 miliardi entro il 2050. Praticamente, un quarto della popolazione mondiale; solo nel nord del continente è atteso un aumento del 58% degli abitanti; 26 nazioni africane, poi, raddoppieranno i propri numeri entro la fine del secolo. Nel 1950, gli europei erano 549 milioni. L’anno scorso, 742 milioni. Nel 2050 saranno 715. Nel 2100 scenderanno a 653 milioni. In Italia, per giunta, in mezzo secolo le nascite si sono dimezzate, ormai ad un figlio per madre.
Ad occhio, abbiamo un problema, o una questione da affrontare, traendone benefici e domandone in rischi. In Africa oggi le nascite superano di quattro volte le morti. Le donne partotiscono in media 4,5 figli, contro 1,6 in Europa. Non sappiamo come questa ingente pressione demografica influenzerà i flussi migratori nei prossimi anni. Secondo un nuovo rapporto del Pew Forum, sono 2,2 milioni le persone entrate in Europa nel 2015-2016. Un numero che corrisponde esattamente alla metà del numero delle nascite in un anno nel Vecchio continente (5,1 milioni nel 2016). Perché la questione ci riguarda. Prendiamo il caso della Nigeria. Prima economia del continente per prodotto interno lordo, 180 milioni di abitanti che diventeranno 410 milioni nel 2050, quando sarà il terzo Paese più abitato al mondo, dopo India e Cina. I tassi di natalità sono scesi da 6,5 figli per donna nel 1990 a 5,6 nel 2014. Dei migranti sbarcati in Italia nel 2017, la Nigeria è il primo Paese di provenienza (15%).
Gli accordi con la Libia e la missione di addestramento in Niger stanno garantendo una diminuzione dei flussi migratori verso il nostro Paese; con la proiezione futura che abbiamo evidenziato, però, sembra chiaro che occorre di più e che l’Italia non può affrontare la questione da sola. Il Mediterraneo è il ponte naturale tra Europa e Africa. Un paradosso geopolitico, che è già il teatro decisivo per dirimere i rapporti tra i due continenti. Aldo Moro diceva: “nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa ed essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”. Lo spiegano ancor meglio i numeri. Nel mare nostrum insistono: il 30% del commercio mondiale di petrolio, 1/3 del turismo globale. Sulle sue sponde vivono 500 milioni di consumatori e si trovano 450 porti e terminal. Uno studio della Farnesina individua queste parole d’ordine per il Mediterraneo: Frammentazione, connessione, disordine, centralità. Non si tratta, dunque solo di flussi migratori che dipendono anche e soprattutto da quanto succederà in quest’area geopolitica nei prossimi anni. Noi che facciamo? Francesco Starace e Claudio Descalzi sono intervenuti di recente – rispettivamente su Aspenia e Formiche – sulla questione energetica in Africa. Il ceo di Enel sottolinea come 630milioni di africani non abbiano ad oggi accesso all’elettricità. Ostacolo evidente alla crescita economica e limitazione alla qualità della vita.
Ciò che per Starace è ancor più grave è che la situazione non è destinata a migliorare fino al 2030. Ma a quella data la popolazione è stimata – come abbiamo già rilevato – in crescita fino a raggiungere 1,7 miliardi di abitanti. Ad ogni modo, sull’asset energetico nel continente sono attesi investimenti per 70 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2030. Sulle fonti – soprattutto rinnovabili – sulle tecnologie e sulle infrastrutture. Starace cita un modello che sta funzionando. Una buona pratica che ha cambiato già le sorti dello Zambia ed è replicabile. È lo “Scaling solar program” della Banca Mondiale, che punta proprio sulle rinnovabili. “Per raggiungere questo obiettivo – scrive Starace – stiamo portando avanti una serie di progetti in Africa per educare e formare le persone a gestire le proprie attività legate all’energia”. Claudio Descalzi, ceo di Eni, muove dalle stesse considerazioni. “L’Africa ha molte più riserve di petrolio e gas rispetto agli Stati Uniti, ma non ha elettricità. Esiste quindi un gap incredibile tra il numero di persone e la copertura elettrica. La sua domanda di energia è pari a solo circa il 6% di quella mondiale. L’Europa, che rappresenta il 9% della popolazione del globo, ha una domanda ben superiore, pari a circa il 14%, pur in assenza di risorse. L’Africa è dunque molto ricca di risorse, ma nessuna di queste viene sviluppata dall’interno”.
Queste le premesse da cui prende spunto il progetto di Eni che “si concentra ampiamente sul gas e si muove sul gas naturale liquefatto (Gnl), dove si prevede di passare dalle attuali 3,5 milioni di tonnellate all’anno di Gnl agli oltre 10 milioni nell’arco del piano”. Cosa fa l’Europa. “Come sapete, l’Unione europea è il principale partner dell’Africa e il vicino più prossimo. È anche il maggiore investitore, il principale partner commerciale, il maggiore donatore di aiuti umanitari e allo sviluppo e fornisce il contributo più importante alla pace e alla sicurezza. Questo vertice ha dimostrato la nostra determinazione a rafforzare ancora di più il nostro partenariato.”
Il 30 novembre scorso, il presidente del consiglio Europeo Donald Tusk pronunciava queste parole ad Abidjan in Costa D’Avorio al vertice tra Unione europea ed Unione Africana. Il nostro premier Paolo Gentiloni lanciava una sfida più ampia: “L’obiettivo è semplicemente quello di continuare a riportare l’Africa in cima alla nostra agenda di politica internazionale, un impegno che l’Italia in questi anni ha ripreso in mano con grande determinazione perché siamo tutti consapevoli che dal destino dell’Africa dipende anche il futuro dell’Europa”.
C’è però una primaria esigenza di stabilizzazione, soprattutto per il Sahel. E in quest’ottica abbiamo appena registrato un passo in avanti: la decisione del 23 febbraio di sostenere con forza le missioni dei G5 (Ciad, Niger, Mali, Burkina Faso e Mauritania) per debellare il terrorismo e controllare la pressione migratoria nell’area. Una mossa, per altro, illustrata a Bruxelles, insieme da Paolo Gentiloni, Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Non si tratta, poi, di replicare quello che Eisenhower chiamava “modello militare industriale”, ma in Africa bisogna evidentemente occuparsi anche di industria.
(articolo pubblicato sul numero di marzo de Il Mensile di Ottimisti & Razionali)
“nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa ed essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo” (Aldo Moro)