San Francisco e la Silicon Valley, che grande paradosso, anche automobilistico. I trasporti qui convincerebbero a votare Trump anche il più incallito democratico; nella città che sforna e propina innovazione al resto del mondo (patria di Uber, Lyft, Facebook, Google, Twitter) la metropolitana (Bart, Bay Area rapid transit) pare uscita da “I guerrieri della notte”, puzzolente, antica, con due sole tratte, pare la linea B romana, ma più lenta; mentre le due arterie che collegano la città a Silicon Valley, le autostrade 280 e 101, sono intasate costantemente negli orari di punta, col loro prezioso carico di ingegneri e nerd fermi nelle loro Tesla peggio che Fantozzi sulla Bianchina. In questo scenario, tutti confidano nell’auto senza conducente, naturalmente il business del futuro, ma soprattutto, nell’attesa, studiano forme di convivenza e sopravvivenza umane per il presente. Così sulle strade sfrecciano talvolta le Volvo grigio argento senza pilota di Uber (anche se un pilota a mani incrociate è tenuto a stare comunque seduto al volante), e in Silicon Valley si aggirano i bianchi veicoli concorrenti di Waymo (la divisione di Google, la più avanzata al momento). Ma più spesso i poveri umani cercano il parcheggio che non si trova.
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