Ci risiamo. Dopo le analisi dei “pesticidi” nelle mele e le raccolte fondi per le api, Greenpeace lancia una petizione affinché il presidente francese Emmanuel Macron intervenga per “vietare la presenza delle lobby dell’agroalimentare nelle scuole, aumentare la quota del bio in tutta la ristorazione scolastica e introdurre due pasti vegetariani a settimana”.
Pregevole la mozione contro l’obesità infantile. Peccato che tali obiettivi non si raggiungano spostando quattrini pubblici da una lobby all’altra, visto che oltre a quella del bio non scherza nemmeno quella “veggie”. Basta farsi un giro nei supermercati e confrontare i prezzi al chilo degli hamburger di soia con quelli delle costate di manzo, per realizzare quanto debbano essere spettacolari i profitti di chi venda i mangimi dei bovini, cioè la soia, al prezzo della carne dei bovini stessi.
Il caso riportato sopra è solo un esempio di quanto le lobby eco-salutiste stiano marciando da tempo al fianco degli interessi pecuniari del biologico, il quale può per giunta contare su una crescente rete di spot pubblicitari camuffati da consigli di supposti “esperti”, ovvero quei molteplici personaggi onnipresenti sui media.
Si parla dell’effetto serra? Bisogna mangiare più bio. I bambini sono obesi? La risposta è sempre nel bio. Inondazioni e siccità flagellano il territorio? Ma non vi è ombra di dubbio: basta comprare bio e va tutto a posto. L’ha detto anche quel tizio alla tv, ma sì, quel cuoco. Dev’essere per forza vero. Di certo, grazie a questi tamburi battenti la lobby del bio sviluppa oggi un business da 82 miliardi di dollari e poggia su una florida industria formata da una miriade di produttori medio-piccoli che nel loro insieme realizzano però incassi superiori di un terzo a quelli di tutti i “pesticidi” delle odiate multinazionali.
Questi raccolgono infatti un po’ meno di 60 miliardi. E il bio mette a segno quei risultati da urlo coltivando solo 50 milioni di ettari in tutto il Mondo. Come termine di paragone si pensi che gli ogm vengono seminati su 187 milioni di ettari, quasi il quadruplo.
Per giunta, la maggior parte di quelle superfici a bio non sono neanche coltivate davvero. Basti pensare che in Australia la quasi totalità dei 22 milioni di ettari a biologico è di fatto banalissimo pascolo. In poche parole, hanno ribattezzato “bio” delle praterie. E qui salta alla memoria uno studio della Fao dal quale si evince come i bovini da carne si nutrano per l’86% di materiali vegetali indigeribili per l’uomo.
Ciò perché una gran parte dei capi di bestiame pascola, appunto, nelle verdi praterie, bio e non, ruminando pure scarti vegetali derivanti dalle industrie agrarie. Magari proprio quelle che hanno estratto olio di girasole per compensare la demonizzazione dell’olio di palma.
Oppure, perché no, gli scarti di lavorazione di chi produce lecitina di soia o altri alimenti eco-bio-naturali. In sostanza, la competizione con l’uomo sarebbe solo per il 14% del cibo assunto dalle mandrie. Mica male per degli animali che prendono cellulosa e lignina, per noi indigeribili, e le trasformano in proteine nobili ad alto valore nutrizionale. Inquinano? Certo. Come qualsiasi altra attività umana. Del resto, visto che il grano Kamut, biologico, ha rese ad ettaro pari a un terzo di quelle del grano duro italiano e a un sesto di quello tenero, mangiarne spaghetti e pane comporta la lavorazione del triplo e del sestuplo di terreno.
Più il viaggio per arrivare dal Canada. Tutto quindi tranne che una scelta ecologica. Non a caso Norman Borlaug, in occasione del trentesimo anniversario del premio Nobel, ricordò che se avessimo mantenuto le medesime tecniche agronomiche e chimiche del 1950, oggi dovremmo coltivare a grano una superficie di 12 milioni di chilometri quadrati in più di quella effettivamente coltivata. In pratica, ci servirebbero in più Canada e Messico messi insieme, solo per il grano. Una superficie che anche se esistesse obbligherebbe a consumare gasolio in ragione di quasi 300 milioni di tonnellate l’anno, per relative emissioni di circa 900 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Perché se non diserbi devi usare più macchine e gasolio. Se produci poco devi arare più terra. Se convertissimo a bio l’intera agricoltura del pianeta, tradotto in parole povere, lo distruggeremmo. Per evitare ciò, dovremmo farci bastare la metà dei raccolti odierni, perché l’altra metà se la mangerebbero funghi, insetti e malerbe, risolvendo facilmente il problema del sovrappopolamento globale.
Perché oltre al grano ci sono anche riso, mais, soia, alberi da frutto e ortaggi. Tutte colture che per produrre a sufficienza necessitano – orrore e raccapriccio – di pesticidi e fertilizzanti. Non che il biologico non li usi, ovviamente. Solo che ha stabilito arbitrariamente che quelli che usa lui sono acqua fresca, mentre tutti gli altri sono veleni. Poi si scopre che il rame è un metallo pesante e ha profili tossicologici e ambientali peggiori della quasi totalità degli agrofarmaci di sintesi usati in agricoltura convenzionale.
Ma pazienza, quel che conta è l’idea. Del resto anche lo zolfo – stupore e costernazione – deriva per lo più dalla raffinazione del petrolio. Ma che vuoi che sia, se è a fin di bene. Vero o solo presunto. L’importante è ossessionare col mantra che il bio è salvifico, per la salute e per l’ambiente.
Magari in futuro, stanco dei soliti lavaggi di cervello, il consumatore finirà pure con l’armarsi di calcolatrice e contare quanta vitamina C e antiossidanti compri davvero con un euro di arance bio e con un euro di arance convenzionali. Prima o poi, si spera, qualcuno analizzerà pure i pomodori bio, giusto per vedere se oltre a contenere un po’ più di licopene non contengano per caso anche più nickel e solanina, alcaloide tossico per l’uomo.
Tutte analisi che chissà perché non vengono mai fatte né diffuse. Sui media, più che altro, si dà infatti risalto ad analisi dei “pesticidi” nelle urine fatte su una singola famiglia romana, giusto per annunciare che la fine del Mondo è vicina, ma chi crederà in Bio vivrà per sempre.
E finché sono Greenpeace o Federbio a rilanciare spot sui cibi “ecò”, pazienza. Business is business, direbbero gli Americani, e pecunia non olet, risponderebbero i latini. Ciò che preoccupa davvero è leggere su un prestigioso settimanale di settore le parole di un altrettanto prestigioso professore secondo il quale l’agricoltura biologica starebbe vincendo su quella convenzionale.
Come pure che i grandi sconfitti sarebbero i “pesticidi” di sintesi e che l’agricoltore biologico sarebbe molto più bravo di chi bio non è. Di sicuro, per vedere davvero chi vince e chi perde, sarebbe interessante convertire davvero tutta l’agricoltura mondiale al biologico, abolendo i fertilizzanti chimici e i “pesticidi”.
Tutti, mica solo quelli che fanno comodo. In tal modo anche i molti truffatori che oggi comprano e utilizzano prodotti a loro proibiti non potrebbero più fare i furbi e dovrebbero essere “biologici” sul serio, non solo sulle carte controfirmate da qualche certificatore compiacente. Come pure sarebbe interessante vedere dove andrebbero a finire le promesse di sostenibilità che il bio rilancia da anni.
Perché vi è da dubitare che i molteplici testimonial del bio si farebbero vedere in circolazione mentre la carestia fa perdere la trebisonda al popolo affamato. E forse, finalmente, dopo la tempesta, i saccheggi e le esecuzioni sommarie, tornerebbe il sereno. Anche per gli scolaretti francesi. Quelli sopravvissuti, s’intende.
di Donatello Sandroni
Anche l’agricoltura biologica usa pesticidi e fertilizzanti, solo che ha stabilito arbitrariamente che quelli che usa lei sono acqua fresca, mentre tutti gli altri sono veleni