domenica, 04 Giugno 2023

L’opinione quantica e il voto – 2

Da non perdere

Martedì 20 febbraio – Scomparsi finalmente di scena i sondaggi farlocchi, ieri è apparsa sulla Stampa un’indagine più accurata e attendibile (1.500 casi, un buon campione), relativa a come e dove maturano le convinzioni politiche dei cittadini. Le risposte all’interrogativo “attraverso quali canali ti tieni informato e ti formi un’opinione sui temi politici?” sono sorprendenti, nel senso che vanno a sbattere contro luoghi comuni radicati. In sintesi: ci informiamo grazie ad una pluralità di fonti (26,5% Internet, 24,8% Tv, 22,7% quotidiani, 14,9% social networks, e solo per il 5,1% attraverso le relazioni sociali, amicali e parentali); ma le opinioni, quelle che incidono concretamente nelle nostre scelte, ce le formiamo diversamente: resta ampiamente maggioritaria l’influenza degli old media (Tv, giornali, radio), mentre il 14,9% dei social cala al 6,9%, e il peso delle reti sociali cresce fino al 21,1%.

Risultati lontani dalla narrazione che ci viene imposta quotidianamente, secondo la quale saremmo tutti gattini ciechi nelle mani dei padroni del web, malefici produttori di fake news. Non che il tema non esista, ma forse indagini del genere possono aiutare a capire in che direzione mirare per combattere la cattiva informazione.

Andiamo per ordine, ma partendo da lontano. E più precisamente dalla nostra fisiologia, da quella “periodica sospensione della coscienza” comunemente definita sonno, e dal risveglio che segue. Il problema nasce lì, non vi stupite. Perché per 6-8 ore (anche meno per chi ha una certa età) il bombardamento infinito di notizie che subiamo da mille fonti durante la giornata si arresta (almeno così riteniamo, ma non voglio complicare troppo il discorso…).

E quando ci svegliamo, ancora mezzi intontiti, avvertiamo l’esigenza di riprendere il filo del racconto interrotto. È in quel momento che andiamo in cerca di qualcuno che fornisca un ancoraggio (Kahneman) alla nave impazzita delle mille informazioni accumulate il giorno prima e riorienti il nostro viaggio quotidiano nel mondo. E nessun prodotto serve allo scopo meglio di un giornale, ancora oggi unico strumento di informazione in grado di organizzare il mare magnum delle notizie secondo precise gerarchie nelle impaginazioni (lo sapete, per dire, che sono più importanti le pagine dispari che quelle pari? E perché? Perché sono quelle più immediatamente visibili), nella grandezza e posizione dei titoli, e così via. Dai un’occhiata al giornale e capisci dove gira il mondo, azzeri o esalti delle informazioni, ti convinci che certe cose sono importanti e altre insignificanti. Il che non accade in rete – si tratti di social o di siti – dove invece la notizia si fissa con maggiore difficoltà, e solo la quantità di like può supplire alla minore evidenza visiva.

D’altronde, signori, non sarà un caso se continuano a nascere giornali, anche se sono imprese totalmente a perdere. Non vendono più, ma conviene farli perché orientano l’agenda pubblica attraverso il circuito delle rassegne stampa che vanno in tarda serata nelle Tv, di prima mattina in radio e invadono poi scrivanie e computer di ministeri, imprese, Università e ogni centro di potere sia interessato alla diffusione di notizie da cui possa trarre giovamento.

Ma che cosa rende una notizia meritevole di andare in prima pagina? E cioè: chi definisce quella che chiamiamo agenda setting? Più semplice di quanto immaginiamo: è – appunto – la redazione di un giornale, che osserva quello che bolle in pentola lì fuori e decide con criteri più o meno arbitrari la notizia con il giusto potenziale. Su che basi lo faccia, ce l’hanno spiegato l’anno scorso i ricercatori della University of Pennsylvania, che hanno studiato come si attivano le aree del cervello quando dobbiamo promuovere o condividere determinate informazioni. In quei momenti nelle nostre testoline si scatena la competizione tra un’area più legata al ragionamento sulle cose che ci interessano direttamente e un’altra che si sforza di comprendere che cosa può piacere agli altri. È una nobile gara, in cui alla fine prevale sempre la percezione: di noi stessi, di chi vorremmo essere e degli altri. Così lavorano le redazioni quando decidono timoni e menabò: convocano sedute spiritiche che evocano quotidianamente la mitologica opinione pubblica, a partire dalle proprie percezioni, immaginando quelle altrui.

Da quel momento parte il gioco di rimbalzi e flussi comunicativi –  notizie, approfondimenti, dichiarazioni, commenti o aggiornamenti – che scorrono dai giornali ai social network, dal web alle radio e alle televisioni, dai mezzi di informazione agli utenti in uno scambio infinito, generando un enorme volume di informazioni, in grado di muoversi in ogni direzione e di coinvolgere, con impatti non sempre prevedibili, i diversi attori della scena pubblica (redazioni, giornalisti, politici, personaggi pubblici, blogger, influencer, leoni da tastiera e lettori), e che sarà a sua volta organizzato gerarchicamente, il giorno dopo. Di nuovo dai giornali. Dalle prime pagine al web e ritorno. Vorticosamente, la singola informazione si comporta  come se fosse il nucleo denso di un atomo, come ”una palla di cannone sparata contro un foglio di carta velina, e capace di tornare indietro”, per dirla con Ernest Rutheford, padre della fisica nucleare.

(2 – continua)

 

di Claudio Velardi

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Cosa rende una notizia meritevole di andare in prima pagina? E cioè: chi definisce quella che chiamiamo agenda setting?

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