Sociologo, scrittore, giornalista, come dicono i francesi essayiste, Frédéric Martel si definisce sicuramente Ottimista, ma aggiunge subito che occorre anche ed insieme essere Razionali, soprattutto che bisogna sapere di che cosa si parla. Ed ecco che dopo Mainstream (Feltrinelli, 2011), inchiesta sulla guerra culturale e dei media, ha scritto Smart (Feltrinelli, 2015), inchiesta sui web, al plurale.
Sì, perché la sua idea di fondo è che di reti ce ne sono tante, tutte diverse, tutte particolari e che in mezzo alla prepotente omogenizzazione imposta dal web planetario si celano tante realtà locali che costituiscono altrettante identità, vitali e propulsive. “Siamo entrati nel secolo del digitale – dice Martel – e gli effetti di questa rivoluzione non sono ancora tutti noti ed evidenti. Dobbiamo attenderci effetti positivi ed effetti negativi; chi dice che è tutto orribile si sbaglia, e di grosso; chi dice che è tutto bello sbaglia altrettanto”.
Faccia un esempio: il linguaggio? “Ottimo esempio: da una parte si fatica a proteggersi dall’invasione dei termini inglesi, che oltre tutto sono quasi sempre del broken english, e dall’appiattimento, dall’altra parte, soprattutto in paesi ancora non pienamente sviluppati e nei quali permangono dialetti e linguaggi locali differenziati, penso all’India e all’Africa, il web ha permesso di mantenere vivi questi idiomi. E vale anche per l’Europa: il bretone, il corso, il sardo guadagnano da internet, che aiuta la loro diffusione, il loro mantenersi lingue vive. Sul web oggi si trovano dizionari dedicati a una miriade di linguaggi, magari imprecisi e zoppicanti, ma che contribuiscono a mantenerli vivi”.
Sta parlando di Wikipedia? “Sì, ma non soltanto. Prima del web, decine di milioni di persone nel mondo non disponevano di alcuno strumento che permettesse loro di conservare e consultare informazioni nelle lingue che parlavano quotidianamente. Oggi la maggior parte degli idiomi regionali o locali hanno trovato una qualche forma di codifica grazie a internet. Ecco: credo che questo sia un ottimo esempio di positività indotta dalla diffusione della rete”.
Viva il web! Ma i difetti? “Ce ne sono moltissimi. Direi che possono essere raggruppati in tre categorie: difetti legati ad aspetti di natura economica, difetti relativi al controllo sulle persone, difetti connessi alla costituzione di posizioni di dominio. Il primo errore che spesso si compie è quello di mescolare questi diversi aspetti del problema. Inoltre, non bisogna mai dimenticare che i problemi che si generano su internet sono in buona parte prodotti dai comportamenti delle stesse persone che ne fanno uso. Se scatto delle qualsiasi fotografie e le metto in rete posso aver compiuto il gesto più innocuo così come posso aver generato una cascata di eventi drammatici ed incontrollabili. Dipende da me e da come mi comporto. Questo detto, un problema a mio avviso grave è quello dei messaggi sponsorizzati, attraverso i quali si possono diffondere false informazioni”.
Sta dicendo che il problema maggiore è di natura strettamente commerciale e pubblicitaria? “In gran parte sì. Ma no solo questo. C’è l’enorme problema costituito dal peso assunto da pochi grandi operatori egemoni”. Beh, i soliti noti, immagino: Facebook, Google, Amazon… “Possiamo aggiungere anche alcuni operatori analoghi che dominano in certi aree geografiche, in Russia o in Cina o in India. Quello della formazione di monopoli, del resto, è un problema tipico dei grandi processi evolutivi, sui quali possono facilmente innescarsi fenomeni imprevisti”.
Qual’è il posto peggiore del World Wide Web? “Beh, magari non diciamo peggiore, diciamo quello che più mi ha colpito: la Cina. In Cina si utilizza come dovunque la rete internet, ma hanno creato dei filtri d’accesso assolutamente impermeabili, rendendo quindi il loro sistema in una qualche misura separato dal resto della rete. E dentro questo mondo a sé stante hanno ricostruito un panorama simile a quello che abita la rete in tutto il resto mondo, censurando tutti i flussi di dati provenienti dall’esterno. Un web clonato: hanno rifatto il loro Google, il loro Facebook, il loro Instagram, il loro Twitter, naturalmente hanno creato l’omologo di Amazon con AliBaba e poi decine di altri siti commerciali, oltre all’analogo di Google Maps e di quasi tutti gli altri siti occidentali di maggiore frequentazione”. Un web tutto cinese per cinesi che tiene fuori l’informazione libera? “Sì, ma non solo. Il movente della Cina è stato prima economico che politico. E su questa linea si stanno muovendo anche molti altri paesi, che non hanno i mezzi per costruirsi anche loro un internet nazionale, ma che tentano di farlo mischiando censura e liberalizzazione. Penso alla Russia, all’Iran, alla Turchia, all’Egitto. Caso a parte, naturalmente, Cuba e Corea del Nord, dove la rete è praticamente chiusa ad ogni infiltrazione”.
Prima parlava anche di controllo delle persone. Vale anche in Europa? “In una certa misura sì, ma soltanto per quanto attiene a problemi specifici, dalla pedofilia all’estremismo islamico. Ma sono fenomeni circoscritti”.
Anche se poi sui social network ormai si vede di tutto… “Lo ripeto: sono un inguaribile ottimista. Penso che si possa e si debba mettere a fuoco i problemi e le derive negative che attraversano questo mondo, ma nella maggior parte dei casi giudico i social network uno strumento formidabile, che apporta molto alle persone. Personalmente sono su tutti i principali network, li uso e me ne servo continuamente”.
Di nuovo: viva il web? “Piano, non l’ho mica detto: i social hanno anche un mucchio di difetti, ma il modo migliore per combattere questi difetti non è di imporre vincoli o controlli, ma di garantire la molteplicità di questi network. Finché c’è concorrenza tra di essi c’è anche meno controllo sulle persone. Naturalmente, vedo bene che ci sono due colossi ai quali fanno capo diversi sistemi di comunicazione e di partecipazione, che Facebook e Google ramificano enormemente, ma ci sono anche network indipendenti, come Twitter o Linkedin. Il web, anzi: i tanti web, presentano anche forme di diversità, ma queste diversità devono essere protette dai grandi dominanti. Questa diversità è un patrimonio importante. Occorre lottare contro le posizioni egemoniche”.
Come? Chi deve fare che cosa? “Certo, quando mi connetto con il mio computer e mi viene proposto di collegarmi anche alla galassia che fa capo a chi lo ha costruito e ha scritto il sistema operativo, devo constatare che sono di fronte ad un evidente abuso di posizione dominante. Ed è questa la responsabilità che deve essere assunta da tutti, dall’Unione Europea, dai governi ma anche da ciascuno di noi: occorre combattere questi eccessi e prevenirne l’emergenza per il futuro. Si tratta di garantire la libertà di internet, non di dire che è tutto da buttare. Spesso, proprio quelli che gridano che il web è il male finiscono con essere i migliori alleati dei monopolisti: la dominazione americana non la si ostacola dicendo che internet è tutto da buttare ma sostenendo quelle realtà alternative e indipendenti”.
Ottimista & Razionale? “Assolutamente sì. Anzitutto perché per combattere gli aspetti negativi di internet bisogna comprendere che cos’è, come funziona e come è evoluto. Esempio: fare delle leggi contro le fake news e contro il giornalismo on line significa non aver compreso nulla di che cosa sia internet. Prima di dire qualunque cosa bisogna sapere di che cosa si parla. E poi serve essere coraggiosi ed efficaci”.
si devono mettere a fuoco i problemi e le derive negative che attraversano questo mondo, ma i social network restano uno strumento formidabile