La transizione energetica, che punta alla decarbonizzazione delle fonti di energia entro il 2050, ha imposto una valutazione sul Diritto Ambientale. Gli Stati membri dell’Unione Europea, infatti, sono stati chiamati a compilare un Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), che rispettasse le linee guida imposte dal Green New Deal (il pacchetto di riforme indicato per raggiungere l’obiettivo). Pochi giorni fa, la Germania ha inviato alla Commissione Europea il suo Piano, ed è l’ultimo dei paesi Europei (fatta eccezione per l’Irlanda, alle prese con la Brexit) a farlo. L’Italia, invece, è riuscita a consegnare alla Commissione Europea il proprio PNIEC nei tempi previsti, Dicembre 2019. Sempre in Italia, al piano si cerca di dar seguito con i fatti. La Task Force indicata da Giuseppe Conte per la ripartenza dopo la pandemia del Covid-19 ha rilasciato il Piano Colao, un programma di interventi strutturati in sei macro-aree. Nella sezione “Infrastrutture e Ambiente – volano del rilancio” si fa particolare riferimento alla priorità che gli sviluppi infrastrutturali devono dare alla sostenibilità, per portare l’Italia in un percorso in linea con il Green New Deal. Per farlo, c’è bisogno di incentivare l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile a emissione zero, a discapito dell’idrocarburo. Il percorso intrapreso ha costretto il Paese a prendere coscienza della propria situazione giuridico-normativa dal punto di vista ambientale, e il quadro non è incoraggiante: “Tutti gli enti sono allineati in questo senso, così come l’intero settore giuridico. Se si intende realizzare gli obiettivi del Green New Deal, c’è bisogno di intervenire sulla normativa ambientale”, dichiara Cinzia Pasquale, Presidente della Camera Forense Ambientale in Basilicata; “non solo il tema ambiente è giovane, ma è anche stato affrontato in maniera marginale. Non se ne è compresa l’importanza, ma l’unica maniera per dare vita ad una normativa intelligente in questo campo è il risultato di un dialogo tra Scienza e Diritto”. Uno dei problemi di maggiore rilevanza, riscontrato dall’Avv. Pasquale all’interno della legislazione ambientale, è il carattere quantitativo delle soglie e la scarsa competenza nel settore: “Quando parliamo di soglie entro le quali gli enti possono procedere alla loro azione senza impattare l’ambiente in maniera eccessiva, lo facciamo sempre in chiave quantitativa. Ma una norma intelligente non può e non deve affidarsi a un dato numerico; ricorriamo a soglie di questo tipo perché si pensa di ridurre la discrezionalità di chi deve applicarle. Questo non è vero, bisogna infatti avere fiducia nella capacità interpretativa dell’operatore, ma questa fiducia deve avere alla base una competenza straordinaria da parte dell’operatore stesso. Egli deve essere in grado di valutare le possibili conseguenze sulla salute e sull’ambiente nel superamento di quella soglia. Quelle attuali, infatti, mostrano un’evidente discrepanza con i progressi scientifici”. Sull’importanza della competenza, in particolare, l’Avv. Pasquale ha posto l’accento, sostenendo: “La qualità della competenza degli operatori ha bisogno di essere elevata. Bisogna ragionarci, perché in Italia vi è un deficit fortissimo su questo profilo, che si traduce in una cattiva amministrazione, che porta a sua volta a delle distorsioni giudiziarie. Da tempo si paventa la necessità di una scuola di formazione in questo campo.”
Nel Piano Colao si è anche parlato di Carbon Tax. Ma può una tassa sull’utilizzo del carbonio essere una soluzione? Enrico Napoletano, Avvocato Fondatore dello Studio Legale Napoletano & Ficco, dichiara in proposito: “Vedendo la riorganizzazione dell’asset unico di ENI, ancorata da un lato sul tradizionale settore Oil&gas e dall’altro proiettata sulla transizione energetica, devo pensare che si stia seriamente andando incontro verso un futuro sempre più green e sostenibile. Perciò, ritengo credibile che se il Piano Colao prevede una Carbon Tax, è perché dall’altro lato (quello delle aziende) ha avuto sufficienti garanzie sulla riorganizzazione. Se questo non è avvenuto, una eventuale tassa rischia solo di essere un elemento di rottura e di svantaggio competitivo con le aziende”. Sul percorso che l’Italia ha attuato tramite il Piano Colao, Napoletano dice chiaramente: “può essere un buon inizio, ma non è sufficiente, se non accompagnata da una valida riorganizzazione aziendale e da una revisione della normativa ambientale. Sulla riorganizzazione, fintanto che parliamo di Eni, intenzionata seriamente a realizzare gli obiettivi del Green New Deal, dal punto di vista internazionale parliamo di una piccola Oil Company, rispetto a grandi player come Chevron Corporation e Exxon. Queste non stanno investendo nelle rinnovabili, come possiamo vedere se compariamo le statistiche sugli investimenti. Chi domina il mercato dei fossili, è anche chi oggi investe meno in questa transizione. Perciò il rischio è che vi sia uno sfruttamento delle energie a doppia velocità.”
Questo ultimo punto merita una riflessione: senza una riorganizzazione degli asset aziendali da parte delle aziende petrolifere, il Green New Deal risulta di difficile realizzazione. Allo stesso tempo, bisogna chiedersi il motivo per il quale le Major di questo settore hanno assunto questo atteggiamento. Come mai non vedono nel Green New Deal un costo-opportunità vantaggioso?
La normativa ambientale in quadro al Green New Deal
