Traduzione di Carlo Minopoli
La conseguenza più importante di questa crisi – quella vera, tralasciando le nozioni confuse – è che ha mostrato la realtà per quella che è, diversa da come la classe politica vorrebbe presentarla, sia alla propria gente, sia al mondo in generale. La scomoda verità sull’attuale crisi del coronavirus è che gran parte della complessa rete di istituzioni nazionali e globali istituite per affrontare le pandemie globali e le implosioni economiche, ha fallito.
Ad essere onesti nei confronti di coloro che sono al comando oggi, e non durante l’influenza spagnola o dalla Seconda Guerra Mondiale, il mondo ha dovuto fare i conti con una crisi che ha interessato sia la sanità pubblica che l’economia, ed in più anche una crisi delle disposizioni di lavoro fisico di coloro che devono gestire tutto ciò.
Ma, nonostante questa piccola attenuante, le risposte economiche nazionali e globali sono arrivate in ritardo, spesso in maniera tiepida e sconnessa. I governi si sono affrettati a limitare la disoccupazione di massa, ma la stessa attenzione non è stata prestata alle dimensioni globali della crisi. La Francia, e non l’America, ha impiegato un vertice del G7. L’Arabia Saudita, non l’America, ha chiamato il G20. Questi paesi non hanno prodotto una strategia coordinata e globale di stimolo economico. Né hanno imposto una moratoria sulle misure protezionistiche nonostante il fatto che un’esplosione tariffaria per “proteggere” le linee di approvvigionamento nazionali critiche possa prolungare e approfondire la recessione. Nonostante l’evidente minaccia della pandemia alla pace e alla sicurezza internazionali, le Nazioni Unite non sono riuscite nemmeno a convocare una sessione di emergenza del Consiglio di sicurezza fino all’inizio di aprile.
La tragedia è che gran parte dell’attuale crisi era evitabile. Il meccanismo chiave per gestire le risposte economiche e di sanità pubblica globali era già in atto. Ma per vari motivi, non è stato mobilitato o non è fatto abbastanza presto per muoversi prima del rialzo della curva di contagiati. In parte, ciò è dovuto al fatto che il modello politico autoritario della Cina, per quanto efficace nel controllare la diffusione nel paese, ha impedito il riconoscimento tempestivo e trasparente della minaccia, nonostante i sistemi di segnalazione “fail-safe” messi in atto dopo la pandemia di SARS. Inoltre, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è stata sotto-finanziata per decenni, da quando l’America e altri hanno deciso di allocare le loro risorse altrove e ignorato ripetuti solleciti per rafforzare i suoi poteri. Ora, sotto Donald Trump, l’America ha trasformato l’OMS in un comodo capro espiatorio per i propri fallimenti interni.
Più in generale, i movimenti nazionalisti in tutto il mondo hanno trovato conveniente screditare la legittimità delle istituzioni multilaterali. Trump, con il suo grido di battaglia “America First”, in effetti abbandonò per la prima volta il ruolo di leader globale dell’America dal 1945. Normalmente, l’America avrebbe collaborato con la Cina per gestire la crisi attraverso una task force congiunta istituita nell’ambito Strategico e del dialogo economico. Ma anche quella pratica è caduta in disuso. Invece, l’amministrazione ha iniziato a prendere a calci la Cina quando era in crisi. Normalmente, per quanto in maniera a volte imperfetta, l’America avrebbe mobilitato il mondo. Questa volta, in assenza dell’America, nessuno lo ha fatto. Benvenuti nel coraggioso nuovo mondo di G-Zero di Ian Bremmer.
Quindi cosa cambierà quando questa crisi sarà finalmente finita? Per l’America, se il presidente Trump viene rieletto, è difficile vedere qualche miglioramento. Una vittoria elettorale rafforzerebbe ulteriormente il suo approccio nazionalista, la visione in cui l’America, e il resto del mondo, ragionano ognuna per sè: una nuova legge internazionale della giungla. I confini nazionali diventerebbero più rigidi. Il protezionismo diventerebbe la norma globale piuttosto che l’eccezione, ignaro delle lezioni degli anni ’30. La produzione globale potrebbe effettivamente continuare a ridursi.
Inoltre, l’America potrebbe decidere di ritirarsi sempre più spesso dalle istituzioni multilaterali che ha creato negli anni 40 a Bretton Woods e San Francisco, oppure le renderebbe inefficaci. Ciò trasformerebbe le Nazioni Unite, l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e la Banca mondiale (sebbene probabilmente non il Fondo monetario internazionale) in villaggi Potemkin, che richiama un pò a quella curiosa decisione della Società delle Nazioni di continuare a incontrarsi dopo l’invasione tedesca della Polonia, poi della Francia e poi della Russia.
Se i democratici vincono, avrebbero bisogno di mobilitare la volontà politica interna per sostenere un nuovo, pragmatico, internazionalismo rooseveltiano. Dovrebbero riportare alla mente del pubblico americano le lezioni durature di Versailles e Pearl Harbor: che gli interessi nazionali vengono rafforzati, non indeboliti, attraverso la conduzione di un efficace sistema multilaterale.
Ciò dovrebbe essere accompagnato da importanti e sostanziali riforme e reinvestimenti volti a creare un sistema multilaterale più efficace. Non può semplicemente essere un ritorno alle pratiche fallite del passato con il continuo trionfo del processo sul risultato. Laddove si verificassero degli impasse, l’ex vice-presidente Biden dovrebbe sfruttare pienamente il G20 (che si è trasformato in una riunione tra Capi di Stato, e non tra soli Ministri delle Finanze, nel 2008, quando c’era George W. Bush, un repubblicano) per capire come gestire la pandemia, i cambiamenti climatici, le riforme commerciali e la gestione macroeconomica globale. Il 2020 rappresenta il “Last Chance Saloon” per la leadership globale americana.
Anche la Cina, d’altra parte, è divisa tra nazionalisti e globalisti. Alcuni funzionari cinesi hanno cercato crudamente di incolpare i militari americani per lo scoppio della malattia a Wuhan. Altri hanno cercato di tenere aperte le linee della collaborazione globale. Gli esperti di Pechino sanno che il coronavirus ha aggravato il danno all’economia cinese dovuto a precedenti contesti di politica interna, ostili al settore privato e dalla guerra commerciale con l’America. Il virus porterà alla peggiore performance economica della Cina dalla Rivoluzione Culturale del 1966-76.
Ma la posizione globale della Cina registra anche un grande successo. L’idea che la Cina possa intervenire nel colmare il vuoto lasciato dall’onorevole Trump fornendo in modo completo i beni pubblici globali ora necessari (come la leadership economica e finanziaria globale, la riforma dell’OMC, il rafforzamento dell’indipendenza dell’OMS o un’azione radicale in materia di cambiamenti climatici) rimane, chiaramente, fantasiosa. Ma la Cina continuerà a sfruttare tatticamente qualsiasi vuoto politico lasciato dagli americani. Tutto ciò potrebbe però essere incoerente con il playbook politico di Pechino, così come la percezione cinese delle sue capacità nazionali ancora troppo limitate per assumere una leadership globale o guidare un efficace ordine multilaterale, che non sia semplicemente un’espressione diretta degli interessi nazionali e gerarchici della Cina. E ciò lascia da parte le probabili reazioni del resto del mondo, sia sviluppato che in via di sviluppo, contro qualsiasi affermazione diretta della leadership globale cinese.
Dato che le relazioni americane sono al di fuori del controllo di ognuno di noi, cosa può fare il resto del mondo? Un gruppo centrale di poteri costruttivi tra cui il G20 dovrebbe agire per riformare, finanziare e difendere politicamente le istituzioni centrali della governance globale per l’era post-covid. Questi includono l’OMS, il Programma alimentare mondiale e l’Organizzazione alimentare e agricola (data l’incertezza sull’approvvigionamento alimentare globale), l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (visto l’impatto ancora sconosciuto sui movimenti della popolazione) e l’OMC.
Questo sforzo dovrebbe vedere alla guida paesi come Germania, Francia, Unione Europea, Giappone, Canada e forse Gran Bretagna (supponendo che Boris Johnson creda davvero in una “Gran Bretagna globale”). Potrebbero essere raggiunti da altri, come Singapore, impegnati a mantenere un ordine multilaterale efficace come bene pubblico globale a sé stante, piuttosto che come veicolo per la realizzazione di stretti interessi nazionali. Potrebbero iniziare emettendo una dichiarazione congiunta immediata, che asserisce che insieme colmeranno il deficit di finanziamento lasciato dalla decisione folle del sig. Trump di tagliare i contributi finanziari dell’America all’OMS. Dovrebbero anche stabilire che questo finanziamento è legato all’attuazione di un programma di riforma post-crisi per rafforzare i poteri regolatori e l’indipendenza della legge dell’OMS. Per quanto imperfetto possa essere l’OMS, ai sensi del trattato internazionale è l’unica entità globale abilitata a dispiegare capacità di sanità pubblica immediata nei paesi poveri in caso di pandemia. Ed è qui che si dirige il virus.
Chiamiamo questi poteri costruttivi, almeno per cominciare, il Multilateral 7 o “M7”. Dovrebbero diventare la segreteria intellettuale, politica e la task force politica collettiva per il salvataggio multilaterale. Dovrebbero mettere in comune le risorse diplomatiche e finanziarie necessarie per far avanzare in modo non apologetico un programma di mantenimento dell’attuale sistema multilaterale che sia il più lungo possibile, fino a quando la geopolitica globale non raggiungerà un nuovo equilibrio. In effetti, potrebbero diventare la sottile linea blu che, almeno per il momento, ci protegge da un mondo sempre più anarchico.