L’Unione europea, che sulla creazione di un mercato unico ha costruito buona parte della propria identità, si trova di fronte a un grosso paradosso quando dal commercio offline si passa al quello online: oggi per un cittadino europeo a volte è più facile fare un acquisto via web dalla Cina piuttosto che da un altro Stato membro dell’Unione.
Solo il 15% dei consumatori europei (e il dato scende all’8% per gli acquisti in ambito professionale) compra online in Paesi dell’Unione diversi dal proprio. E questo succede in un momento in cui c’è una domanda crescente di acquisti transfrontalieri elettronici da parte dei consumatori europei (negli ultimi dieci anni, la quota di quelli che acquistano online è quasi raddoppiata).
La colpa è soprattutto del cosiddetto geoblocking, la pratica di bloccare o reindirizzare automaticamente l’acquirente verso un altro sito web a causa della sua nazionalità, del suo luogo di residenza o dell’ubicazione temporanea da cui si connette. Il blocco geografico è utilizzato spesso nei casi di fruizione online di contenuti coperti da copyright, in streaming o non, perché le norme sul diritto d’autore cambiano da Stato a Stato. Ma viene sfruttato anche per vendere beni a prezzi e condizioni diverse: una pratica, questa, che l’Unione ha deciso di rendere illegale con un regolamento ad hoc approvato il 6 febbraio.
Secondo i risultati di un’indagine condotta dalla Commissione europea, il 63% dei siti web non consente agli acquirenti di comprare da un altro Paese Ue. Quello che succede in concreto allo sfortunato consumatore, è stato spiegato in maniera molto chiara dal vicepresidente della Commissione Ue e commissario per il mercato unico digitale, Andrus Ansip, durante la discussione all’Europarlamento di Strasburgo sulle nuove norme che nelle intenzioni renderanno più agevole la shopping online di prodotti e servizi come le prenotazioni alberghiere, il noleggio auto, i biglietti per festival musicali o parchi di divertimento: “Spesso – ha detto Ansip – c’è l’impossibilità di accedere al sito. Se si riesce ad accedere, viene impedita la registrazione a causa dell’indirizzo IP dell’utente. Se si riesce nella registrazione, viene respinta la carta di credito o di debito emessa da un altro Paese. E poi se si riesce finalmente nell’acquisto, il sito blocca l’indirizzo di consegna. Nel mercato unico non è accettabile che ci siano ancora discriminazioni basate sulla nazionalità o la residenza”.
Oggi questi blocchi geografici costano milioni in vendite che vanno perdute. Sul fronte dei beni materiali, il geoblocking è più elevato nel settore degli elettrodomestici, con l’86% di casi, mentre per i servizi come le prenotazioni online di eventi per il tempo libero, è al 40%. Con l’obiettivo di porre fine a questa situazione, il nuovo regolamento – che, dopo l’approvazione formale del Consiglio, entrerà in vigore verosimilmente entro il Natale 2018, dando il tempo agli operatori di adattarsi – obbligherà gli operatori commerciali a trattare gli acquirenti online provenienti da un altro Paese dell’Ue allo stesso modo dei clienti locali, consentendo l’accesso agli stessi prezzi o alle stesse condizioni di vendita.
I beni fisici, in caso di spedizione negli altri Stati, dovranno sottostare alle stesse condizioni di consegna offerte agli acquirenti locali. Ma gli operatori non avranno l’obbligo di consegnare in tutti i Paesi Ue, per cui un operatore potrà continuare a rifiutarsi di inviare i beni a sue spese direttamente a tutti i consumatori su territorio europeo, ma potrà accordarsi su un luogo diverso di consegna. Per novità su questo fronte occorrerà attendere altri provvedimenti, come quello sul servizi transfrontalieri per il recapito dei pacchi, che sarà votato a marzo.
Le norme contro i blocchi geografici riguardano anche, oltre i servizi commerciai, quelli elettronici come cloud, firewall, memorizzazione di dati, hosting di siti web, purché non coperti da copyright. I prodotti dell’ingegno tutelati dai diritti d’autore come videogiochi, libri elettronici, musica ecc., rimangono esclusi dall’applicazione delle nuove norme. L’esclusione riguarda anche i trasporti, e poi i prodotti audiovisivi, per i quali c’è una direttiva specifica in corso di approvazione.
“Occorrerà intervenire ancora per migliorare e armonizzare la tutela dei diritti d’autore e l’assolvimento degli obblighi fiscali per gli acquisti online”, ha dichiarato la relatrice del testo, Róża Thun (Ppe), durante il dibattito in Aula a Strasburgo. I regimi Iva, infatti, sono diversi da Stato a Stato. A chi però ha paventato possibili squilibri, e perdite per i piccoli operatori nazionali dei Paesi con tassazione più elevata, la deputata ha risposto: “Non c’è spazio per il protezionismo nella nostra Unione”.
Negli acquisti via web, la pratica di bloccare l’acquirente e indirizzarlo verso un altro sito a causa della sua provenienza sarà presto resa illegittima