Steven Pinker, 63 anni, è docente presso il dipartimento di psicologia di Harvard. Conduce ricerche sul linguaggio e sulla cognizione. I suoi libri comprendono The Language Instinct, The Blank Slate e The Better Angels of Our Nature.
Com’è stata la tua infanzia o qual è stata la tua prima ambizione?
Al liceo, sapevo che volevo insegnare e che volevo pensare. Mi ero imbattuto nel termine think-tank e avevo una vaga idea di voler lavorare in un posto come quello. Mia madre invece mi disse: “Il posto giusto per te è l’università”.
Scuola privata o scuola pubblica? Università o direttamente al lavoro?
Scuole statali a Montreal, una laurea alla McGill, poi sballottolato tra la vita di Harvard e quella del MIT.
Chi era o è ancora il tuo mentore?
Ho imparato la psicologia sperimentale da Stephen Kosslyn, la teoria linguistica da Joan Bresnan e la psicolinguistica (e lo stile di prosa) da Roger Brown. Ma non sonoun tipo da mentori: ho sempre raccolto idee e metodi da ogni parte.
Quanto ti tieni in forma?
Ho sempre cercato di tenermi in forma con ciclismo, jogging, escursionismo e kayak: qualsiasi esercizio aerobico che mi passa davanti agli occhi.
Ambizione o talento: cosa conta di più per il successo?
Sono moltiplicatori l’uno dell’altro.
In quale posto sei più felice?
Nella mia casa di Cape Cod, con mia moglie, la scrittrice e filosofa Rebecca Newberger Goldstein.
Cosa ti piacerebbe avere che non possiedi attualmente?
Una casella di posta in arrivo ad una sola cifra.
Qual è la tua più grande stravaganza?
Un telemetro della Leica. È – per essere buoni – di media tecnologia, è troppo costoso, ma bello in uno stile squadrato da Bauhaus, e rende la fotografia un’esperienza sensuale.
Quali ambizioni hai ancora?
Ho sempre diverse possibilità di libri che mi girano nella mente. Ma la mia più grande ambizione è scrivere su un argomento che non avrei mai immaginato.
Cosa ti guida?
Spiegazioni profonde e linguaggio elegante.
Quanto sei impegnato politicamente?
Avendo analizzato così tanti dati sul progresso umano, sono diventato un progressista radicale e un appassionato centrista. La democrazia liberale e le istituzioni internazionali sono preziose conquiste per cui vale la pena lottare.
Qual è il più grande risultato della tua vita finora?
The Better Angels of Our Nature (2011). Sorprendeva i lettori per il fatto poco noto – ma importante – che la violenza è nel suo declino storico, ha definito un obiettivo politico (identificare le cause dei nostri progressi e intensificarle) e mi ha sfidato a raccontare una storia particolarmente complessa in modo convincente.
Cosa trovi più irritante negli altri?
I battibecchi. Il costo che ha un conflitto – sulla fiducia e la reciprocità a lungo termine – è quasi sempre maggiore di qualunque cosa si stia combattendo.
Se il tuo sé ventenne ti vedesse ora, che cosa penserebbe?
Sarebbe sorpreso di essersi sposato tre volte e non avere figli, sarebbe sollevato dal fatto di avere una cattedra e sarebbe felice di essere riuscito a scrivere per un vasto pubblico.
Quale oggetto hai perso e vorresti avere ancora?
Una memoria senza sforzo per i dettagli.
Qual è la più grande sfida del nostro tempo?
La più grande sfida pratica è evitare il catastrofico cambiamento climatico. La più grande sfida morale e politica di oggi è la difesa degli ideali illuministici della ragione, della scienza, dell’umanesimo e del progresso.
Credi nell’aldilà?
No. La mente dipende interamente dal cervello, che è indubbiamente mortale. Aggiungo che il concetto di vita ultraterrena è moralmente preoccupante. Implica che la salute e la felicità non siano un grande problema, perché la vita sulla terra è una porzione infinitesimale della nostra esistenza. È da assaporare ogni momento della nostra limitata porzione di coscienza.
Se dovessi valutare la tua soddisfazione per la tua vita finora, in una scala da 1 a 10, quale punteggio avresti?
Date le possibilità di sofferenza e disgrazia che derivano dall’essere umani, sarebbe per me un atto di ingratitudine cosmica rispondere con qualcosa di meno di 10.
Leggi l’articolo in lingua originale su Financial Times
Traduzione di Alessia Boragine