Amici, cittadini, dilettanti: stiamo abbattendo la fortezza, il sancta sanctorum della scienza vi aspetta. L’era dell’ingombrante gerarchia è in declino; ora è il momento della conoscenza in rete, perché la coscienza collettiva si alzi e scateni il suo potenziale vibrante. Molti di noi possono ancora ricordare la gioia di aprire il nostro primo Giovane Chimico, o di costruire il nostro primo modello di razzo, o di hackerare la nostra prima linea di codice. Chi potrebbe mai proibire ai nostri compagni civili di inseguire le farfalle e catalogare i cromosomi, il tutto nel nome della ricerca e del progresso scientifico?
Prima della professionalizzazione nel diciannovesimo secolo, la scienza dei profani era l’unica alternativa. Oggi la chiamiamo citizen science quando le persone comuni partecipano alla ricerca scientifica non come cavie o finanziatori, ma conducendo esperimenti, facendo osservazioni, raccogliendo dati e impegnando le loro menti in compiti oltre la portata dei migliori computer in circolazione. Per alcuni osservatori, questo movimento è poco più di una moda innocua. Altri invece la chiamano rivoluzione.
L’etichetta stessa citizen science (il cui contrario sarebbe, ad esempio, dilettantistica o extramurale) porta con sé l’insopprimibile idea che la scienza dovrebbe essere democratica e partecipativa, non un regime sgradevole e autocratico. I sostenitori della citizen science affermano che i suoi effetti collaterali sono più che salutari: le persone acquisiranno le conoscenze che desiderano attraverso la loro azione diretta invece che attraverso una piccola élite. E quando si tratta di medicina, le scoperte di nuove terapie sono sempre più rare, nonostante le disperate manovre dell’industria farmaceutica; la partecipazione dei cittadini dovrebbe accelerare la ricerca e rendere molto più facile la riproducibilità dei risultati. Infine, il fatto che le riviste accademiche hanno ritrattato le proprie scoperte, ci suggerisce che la scienza in quanto tale potrebbe non essere così corretta. Forse è giunto il momento di prendere in considerazione le alternative.
Questi argomenti sI raggruppano attorno a tre temi principali. In alcuni casi, la citizen science viene pubblicizzata come una vera e propria cura. In altri, è vista come un turbocompressore dei meccanismi moribondi della scienza mainstream. Infine, è anche vista come un mezzo per liberare le enormi potenzialità dell’innovazione, imbottigliate nei laboratori accademici e soffocate da boriosi professori.
Sarebbe diverso se la citizen science fosse un fermento politico dal basso. Tuttavia, diamo un’occhiata a chi c’è dietro alcune ultime iniziative: la National Science Foundation degli Stati Uniti, che ha finanziato la serie PBS The Crowd & the Cloud (2017); il Congresso degli Stati Uniti, che ha approvato la legislazione per la citizen science nell’American Innovation and Competitiveness Act (2017); la DARPA del Pentagono, che ha donato 10 milioni di dollari dopo il 2012 per introdurre spazi di biohacking in più di 1.000 scuole superiori; una ONG chiamata European Citizen Science Association. In effetti, di cittadino sembra essere rimasto ben poco.
L’ironia è che alcune delle persone che davvero credono nella citizen science sembrano essere motivati da una sfiducia bruciante nel governo o da un anarchismo ribelle contro le grandi aziende. Eppure sono proprio quegli stessi governi e corporazioni che stanno investendo e dando slancio al movimento. Qualcosa non quadra.
Cosa c’è davvero dietro l’ascesa della citizen science? Ci sono alcune tendenze e programmi distinti. Una è l’ovvia ondata di ostilità verso gli esperti che si diffonde in tutto il mondo occidentale. Il nazionalismo revanchista, il movimento no-vax e il negazionismo del riscaldamento globale. La scienza dei cittadini sembra essere un tentativo di co-optare e trasformare quell’ostilità in qualcos’altro, qualcosa di utile. I governi si appellano alla megalomania dell’individuo medio, con l’aspettativa (probabilmente vana) che queste persone mitighino naturalmente la loro ostilità verso competenze scientifiche e accettino un minimo di regolamentazione. Ma è difficile capire in che modo la citizen science può davvero invertire la nuova tendenza alla post-verità. Questa sfuma davanti alla ricerche sociologiche che indicano come livelli più elevati di istruzione, combinati con le inclinazioni politiche di centro-destra, esacerbano il sospetto verso la scienza ortodossa, piuttosto che diminuirlo.
In secondo luogo, la maggior parte delle citizen science esistenti consistono nel fatto che il pubblico devolva il proprio lavoro non retribuito e i suoi dati a entità online private che successivamente li assimilano come big data. L’inserimento di tali società nel processo scientifico crea il rischio che alla fine esse eserciteranno una sempre maggiore influenza sui programmi scientifici.
Infine, la scienza dei cittadini è alimentata dal fatto che il settore pubblico sta cercando di uscire dal business della scienza. Almeno dagli anni ’90, molti governi hanno cercato di liberarsi della responsabilità per il finanziamento e il coordinamento della ricerca scientifica e della formazione. Il sostegno per le università è stato compresso, gli uffici della politica scientifica sono stati chiusi e nella ricerca sono stati accettati volentieri sponsor privati. I governi non sentono più la necessità di produrre e mantenere un gruppo nazionale di lavoratori STEM altamente qualificati.
Il caldo bagliore che circonda la citizen science deriva da una credenza illuminista in una sete interiore di conoscere le cose. Ma la tendenza a reificare le informazioni in blocchi di materiale fruibile tende a confondere i reali motivi che spingono le azioni delle persone. Chi soffre di asma potrebbe voler sapere se c’è eccesso di ozono nel suo ambiente; ma potrebbe non essere necessariamente interessato a conoscere la composizione chimica dell’ozono o i meccanismi fisiologici della provocazione bronchiale nei polmoni. In un certo senso, la citizen science è un tentativo di sostituire le preoccupazioni delle persone spostandole in un diverso piano epistemico.
La citizen science inoltre, non è strutturata per produrre una vera conoscenza. Piuttosto, si tratta di riacquisire relazioni di potere. Trae forza da una certa marca di fondamentalismo di mercato – una sensibilità politica che potremmo chiamare anche neoliberismo – in cui le credenze della gente sulla scienza sono semplicemente transazioni in un mercato di idee, inattaccabili come la loro scelta di detersivo in polvere al supermercato. Cosa dovremmo fare ora? Lasciare che sia il mercato a risolvere il problema, non la comunità scientifica.
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traduzione di Alessia Boragine