James Hewitt ha pubblicato sul sito del World Economic Forum un articolo sui bias negativi e come provare a cambiare i propri comportamenti
Immagina di vivere nel mondo di migliaia di anni fa, tra i nostri antenati. A differenza di molti tuoi coetanei, sei un uomo preistorico scandalosamente ottimista e vagabondi per la savana sentitamente grato di essere vivo. Nel bel mezzo di una missione di cacciatori-raccoglitori potresti prenderti un momento di pausa per guardare a fondo la scena che hai davanti agli occhi. Più avanti a sinistra, in agguato dietro un cespuglio, vedi un animale. Non l’hai mai visto prima. È un leone. “Wow, che creatura affascinante”, pensi. “Meglio dirigermi laggiù e osservarlo più da vicino”. Se il leone fosse amichevole potresti goderti un incontro interessante. Altrimenti, probabilmente, potresti essere fatto a pezzi.
Per la maggior parte della storia umana, le decisioni sui costi-benefici sono state preferite a quelle che diffondono una visione pessimistica. Ma il bias di negatività nel nostro pensiero è adattabile e forse già è entrato nel nostro corredo genetico: i nostri corpi e cervelli continuano ad essere basati sullo stesso carico genetico che ha influenzato le inclinazioni dei nostri antenati. Purtroppo, sebbene sia un modo efficace per evitare i predatori, la nostra innata inclinazione verso il negativo non sembra, nel mondo moderno, essere molto efficace a motivarci per prendere delle buone decisioni. È molto meno probabile che verremo mangiati da un predatore, ma le malattie croniche, associate a non corrette decisioni sul nostro stile di vita, diventano assassini globali sempre più aggressivi. Uno studio del 2012 della Portland State University, condotto su dati longitudinali di 17.276 persone, ha dimostrato, inoltre, che anche quando è stata diagnosticata loro una malattia grave, le persone non hanno dimostrato che un cattivo stato di salute sia una motivazione abbastanza valida per cambiare modo di comportarsi.
Il dottor Richard Boyatzis è un esperto in intelligenza emotiva e di cambiamento del comportamento. Nel 2013, assieme al suo ricercatore, il dottor Anthony Jack, ha condotto uno studio per valutare approcci contrastanti di coaching e mentoring. Dopo aver diviso alcuni volontari in due gruppi hanno fatto in modo che ogni volontario fosse intervistato per 30 minuti. I coach che conducevano le interviste avevano però due approcci diversi nel porre le domande. Il primo approccio di coaching e mentoring è quello to the Negative Emotional Attractor (NEA) mentre il secondo to the Positive Emotional Attractor (PEA).
Nel primo gruppo infatti i coach hanno posto domande sui problemi e le sfide affrontate e messo l’accento sulle tecniche di risoluzione dei problemi. Questo approccio tende a sollevare questioni associate alle aspettative, alle debolezze, agli obblighi e alle paure delle persone. Nel secondo gruppo invece le domande dei coach incoraggiavano i volontari ad pensare ad un futuro positivo, chiedendo ad esempio di immaginare la propria vita tra dieci anni, esaltando quindi l’immaginazione positiva del volontario.
A pochi giorni dalle interviste, i gruppi di volontari sono stati invitati a rispondere ad una serie di domande di follow-up da parte degli stessi coach, utilizzando lo stesso approccio della prima intervista. A questo punto, i loro cervelli sono stati mappati utilizzando una risonanza magnetica funzionale, che rileva i cambiamenti associati al flusso sanguigno. I risultati hanno dimostrato che i due approcci contrastanti hanno attivato regioni diverse del cervello.
L’approccio dell’attrattore emotivo negativo ha attivato il sistema nervoso simpatico del fight or flight e le regioni del cervello associate agli stati negativi. Fisiologicamente, la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna aumentano e una persona è più propensa a prendere decisioni rapide ed istintive, ma a volte scorrette, basate sulle sue scorciatoie mentali.
Il coaching e mentoring dell’attrattore positivo ha invece attivato regioni del cervello associate allo sviluppo di un piano o ad una visione per il futuro. Quando concentriamo la nostra attenzione su temi positivi, i circuiti di ricompensa e le aree del nostro cervello associati a sperimentare gli stati d’animo positivi si attivano. Inoltre, il nostro sistema nervoso parasimpatico diventa più dominante. Quando riduciamo la nostra percezione della minaccia, la nostra mente può ritenere più utile ragionare sulle decisioni da prendere e pensare più in profondità. Diventiamo cognitivamente più flessibili, in grado di pensare alle molteplici possibilità future e di prendere in considerazione nuove idee e come pensano e si sentono altre persone.
Questi schemi di attività sono fondamentali per motivare gli individui, per sorreggere i sentimenti positivi e sono cruciali se stiamo cercando di cambiare il nostro comportamento e lavorare per raggiungere un obiettivo. Secondo il dottor Boyatzis: “avete bisogno di un focus negativo per sopravvivere, ma di uno positivo per prosperare”.
È stato dimostrato che un coaching e mentoring che ci incoraggia ad immaginare una visione positiva del futuro, focalizzando l’attenzione sulle nostre possibilità e sui nostri sogni è in grado di incentivare i cambiamenti comportamentali e aumentare la probabilità che otterremo quello che vogliamo.
Questo non significa che dovremmo ignorare completamente i problemi. Piuttosto, dovremmo considerare ogni nuova sfida come un punto di partenza. Invece di iniziare a stilare l’elenco dei problemi e delle minacce, potremmo fare un passo indietro, sfidare consapevolmente il nostro bias di negatività e fare del nostro nuovo punto di partenza un mezzo per avere un visione del futuro più positiva, caratterizzata da crescita, apprendimento, sviluppo e possibilità. Le prove ci suggeriscono che questo potrebbe essere l’approccio più efficace. A meno che, naturalmente, non stiate guardando negli occhi un leone.